Anzitutto un plauso all’organizzazione di “De Gusto Spoleto”, dedicata all’enogastronomia locale, che alla sua prima edizione ha goduto di una folta presenza di produttori di vino, olio e prodotti tipici del territorio, riuniti nell’antico complesso di San Nicolò.
L’evento è stato preziosa occasione per fare il punto sul vitigno Trebbiano Spoletino e sul vino, o meglio, sui vini che da esso si ricavano. Molto interessanti i momenti di approfondimento che hanno puntato l’attenzione sulla duttilità del Trebbiano umbro (sotto la guida del preciso Jacopo Cossater che da tempo segue le sorti progressive del vitigno), sulla sua capacità di tenuta nel tempo e sul confronto con altri Trebbiano del Centro Italia (entrambi gli approfondimenti guidati dall’appassionato e appassionante Giampiero Pulcini). Tale confronto ha messo subito in evidenza la diversità tra il Trebbiano Spoletino e gli altri Trebbiano (D’Abruzzo, Toscano, di Castelvetro, ma potremmo citarli tutti): il nome Trebbiano, infatti, identifica vitigni a bacca bianca differenti, individuati dall’aggettivo geografico che ne circoscrive la zona di maggior diffusione. Il comune appellativo Trebbiano probabilmente rinvia all’aggettivo latino trebulanum, riferito a trebula che è la radice di molti toponimi dell’Italia Centrale (Trevi, vicino a Spoleto, è tra questi). Trebulare o tribulare in latino definisce la pratica del trebbiare, ultima operazione dopo la raccolta del grano consistente nella separazione della granella del frumento e degli altri cereali dalla paglia: Trebbiano, quindi, poteva indicare il vino che accompagnava la trebbiatura e i lavori campestri.
Quale che sia l’etimologia esatta, i vitigni con appellativo Trebbiano ricorrono soltanto nell’Italia Centro Settentrionale, ovvero nell’area di diffusione della Mezzadria che fino alla seconda metà del ‘900 ha regolato i rapporti agricoli di quella parte del Paese. Nessun vitigno Trebbiano è presente a Sud dell’Abruzzo, cioè nell’Italia latifondista a substrato magno greco.
Il sistema mezzadrile si associa con la vite maritata all’albero, ovvero con una diversificazione colturale funzionale ad un’economia di sussistenza: maritare le viti agli alberi significava lasciare spazio libero per altre colture o per il pascolo degli animali. L’alberata è anche sinonimo di alta resa quantitativa, a scapito della qualità, perché al contadino interessava avere un raccolto abbondante.
Nei fondi condotti dai mezzadri non c’era margine per una viticoltura intensiva, per vigneti ad alberello, come nelle vaste estensioni latifondiste (abbandonate e loro stesse) o per viti disposte a filari retti da sostegno morto. Solo la fine del sistema mezzadrile (1964 è l’anno di l’abolizione ufficiale della Mezzadria) ha permesso di orientare l’agricoltura e la vitivinicoltura al mercato, inducendo all’espianto delle viti maritate a sostegno vivo (all’Acero o all’Olmo) e all’avvio del moderno sistema di allevamento della vite: quello a sostegno morto. Questo il motivo di base del ritardo della vitivinicoltura moderna e di qualità, in particolare in Umbria (con l’eccezione dell’Orvietano di cui ho già parlato in un precedente articolo).
Nella vallata spoletina sono sopravvissute fino ad oggi molte viti di Trebbiano Spoletino maritate all’Acero o all’Olmo (2500 piante censite), segno e conseguenza del quasi totale abbandono del vitigno proprio quando nel resto dell’Umbria si stavano ponendo le basi per una vitivinicoltura moderna segnata dalla comparsa di vigne basse, ben allineate, curate, che hanno ridisegnato il paesaggio viticolo e agricolo.
A “De Gusto Spoleto” ci si è interrogati, insieme ai vignaioli che oggi hanno recuperato il Trebbiano, sul perché il vitigno sia stato a lungo dimenticato o relegato ad una vinificazione di autoconsumo, nonostante la sua malleabilità e adattabilità ad ogni tipo di suolo e pratica di vinificazione, la sua alta resistenza a malattie crittogamiche e nonostante la facilità con cui da esso si possono ottenere vini godibili, freschi, mai banali, mai impegnativi anche al cospetto di lunghe macerazioni sulle bucce. Tutte peculiarità che il conterraneo Grechetto, in particolari il clone orvietano, vitigno a bacca bianca simbolo dell’Umbria vitinicola, non condivide affatto. L’unica “scomodità” del Trabbiano è legata ai tempi di maturazione lunghi che causano una sovrapposizione tra la sua vendemmia e la raccolta delle olive e nelle zone tra Spoleto, Trevi e Montefalco, assai vocate per l’olio, questa concomitanza potrebbe aver indotto i contadini a scegliere di seguire gli ulivi a scapito delle viti di Trebbiano. Più probabile è che la fama del vino bianco di Orvieto a base Grechetto, fama conquistata già nei secoli passati (era l’unico vino umbro apprezzato alla corte pontificia), abbia determinato la progressiva diffusione di quel vitigno in tutta la regione e l’abbandono dell’anonimo Trebbiano.
La Cantina Sociale di Spoleto è stata la prima, agli inzi degli anni ’80, ad imbottigliare il Trebbiano Spoletino, ma senza riuscire ad innescare un ciclo virtuoso, a causa del progressivo calo di interesse per i vini bianchi e la crescita di quello per i rossi. Gli anni ’90, in Umbria, sono infatti quelli del successo incontrastato del Sagrantino di Montefalco.
Il risvegliato interesse per vitigni autoctoni e il recente ritorno ad una vitivinicoltura legata alle tradizioni locali, più rispettosa delle vocazioni del territorio, hanno ridato spinta al Trebbiano Spoletino. Il calo di attenzione per il Sagrantino non è estraneo al nuovo corso e non è un caso se i primi esemplari di Trebbiano Spoletino che hanno fatto parlare di sé, risalenti al 2004, provengano entrambi da Montefalco: sono quelli di Giampaolo Tabarrini e Paolo Bea, il primo da vinificazione in bianco, il secondo da macerazione. Questi primi esemplari importanti, anche per posizionamento di prezzo, permettono di cogliere subito la capacità del vitigno di dare ottimi risultati con o senza macerazione e gli assaggi fatti a “De Gusto Spoleto” lo hanno confermato.
È così che, ad esempio, il Trebbiano di Colle Uncinano o quello dei Fratelli Pardi non macerati (Colle Uncinano utilizza la criomacerazione) sfoggiano la freschezza tipica del vitigno unita ad una bella densità fruttata che dà loro spessore e bidimensionalità. Tuttavia, la tipica carica acida del Trebbiano Spoletino, che lo rende caratterialmente vicino a vitigni a bacca bianca di latitudini nordiche (penso in particolare ai bianchi della zona a cavallo tra Italia e Slovenia), riesce a ad essere domata e impreziosita dalla macerazione sulle bucce che aggiunge al vino una rotondità fatta di note a volte candite, speziate, caramellate, o mentolate che donano complessità al naso e in bocca. In paticolare mi ha sorpreso il Trebbiano di Anne Santi macerato in anfora, proveniente dalla Val Nerina, da un vigneto di 40 anni di età: il 2016, prima annata che sarà commercializzata a breve, è ancora a macerare e il campione assaggiato ha sfoggiato variegati profumi di fiori bianchi di montagna, agrumi, erbe aromatiche mentre la bocca ha ancora necessità di assemblarsi, con gli aromi ancora scomposti, l’acidità marcata, ma ricca di piacevoli suggestioni. Piacevolissimo il macerato ” Le Tese” di Romanelli, 2015, dal deciso profumo di zagara, dalla freschezza agrumata in bocca, succosa e prolungata. Attraente il Trebbiano macerato di Raina, 2015, che entra al naso con profumi di frutta candita, frutto surmaturo, fiore giallo, mentre in bocca si rivela di una misurata ed elegante freschezza.
Il Trebbiano Spoletino ben si predispone, con la sua acidità, alla spumantizzazione o alla versione rifermentata in bottiglia come ha dimostrato Cantina Ninni di Spoleto con il suo spumeggiante (non solo per la frizzantezza del vino) “Edoardo” 2016 che si presenta al naso con profumi di burro fuso e di lievitati dolci, per poi sorpendere per sferzante e vivace freschezza nell’assaggio.
I vini da Trebbiano Spoletino hanno dimostrato ottima capacità di tenuta nel tempo, come pochi vini bianchi sanno fare. La lenta caduta dell’acidità predispone il vitigno all’invecchiamento. Tutti gli esemplari in assaggio hanno mostrato di possedere ancora freschezza giovanile. Ma su tutti spiccano i macerati “Arboreus” 2012 e 2007 di Paolo Bea: esplosivi, terragni, acuminati, mediterranei, dorati (quasi più giovanile il 2007 del 2012); e il “Vigna Vecchia” 2010 di Collecapretta, Trebbiano senza macerazione: un miracolo di conservazione e crescita nel tempo di un vino senza solforosa aggiunta e senza quel conservante naturale costituito dai poliefenoli delle bucce, qui mancanti. Il “Vigna Vecchia” arriva al naso con una carrellata di profumi di pasticceria, burro, arancia candita, albicocca in confettura, convertendosi al sorso in note più fresche, erbacee, eleganti e suadenti: sette anni di evoluzione-rivoluzione in bottiglia.
In passato, a Trevi si produceva un vin santo da Trebbiano Spoletino, ma uno dei rari esemplari, di gran stoffa, proviene dal Lago Trasimeno dove un privato iniziò a produrlo negli ’50 fino al ’96, ma solo per uso famigliare, come vino da regalare. Ancora ne restano vecchie annate e a “De Gusto Spoleto” è stato possibile assaggiare la ’67, la ’77 e la ’85, in ottimo stato di forma: solo accennate note ossidative stavano a dichiarare il passare del tempo, mentre le espressioni prevalenti sono state di freschezza amaricante, erbacea, caramellata e balsamica straordinarie. Una ulteriore prova della versatilità del Trebbiano che ottiene felici risultati anche nell’appassimento, grazie all’alto tenore di freschezza che mantiene inalterata nel tempo. E che dire di un aceto balsamico da Trebbiano Spoletino, un tempo prodotto ad Azzano, vicino Spoleto, che conquistava persino le giurie dei concorsi riservati agli unici aceti balsamici in diritto di fregiarsi di tale dizione, ovvero quelli di Modena e Reggio Emilia? Un peccato che la produzione sia terminata.
Attualmente sono oltre trenta le aziende che coltivano e vinificano Trebbiano Spoletino in Umbria, per lo più concentrate nel territorio attorno a Spoleto e Montefalco, con presenze sporadiche fino al Lago Trasimeno, in Val Nerina, nell’Alta Valle del Tevere e a Narni. Il Trebbiano Spoletino continua a vivere nelle alberate della sua terra di origine mentre i nuovi vigneti, nello spoletino e altrove, si sono affrancati dall’Olmo e dall’Acero per seguire il moderno sistema a spalliera.
Il trend lo dà in crescita, per gli innumerevoli pregi sopra elencati, ma un motivo prevale su tutti ed è il più banale: è difficile fare un cattivo vino con il Trebbiano Spoletino.