I Verdicchio di Cupramontana che raccontano il territorio.

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Guidavo in solitaria verso Cupramontana, in provincia di Ancona, per partecipare a due eventi sul Verdicchio locale e durante il percorso, sollecitata da ciò che si mostrava ai miei occhi, pensavo a come lo sguardo non arrivi a cogliere fino in fondo le unicità di paesaggi naturali apparentemente uguali: l’occhio registra soltanto macro differenze. Ad esempio, le colline di Toscana, Umbria e Marche hanno tratti in comune riassumibili nell’alternanza di boschi, colture, piccoli borghi fortificati situati in posizione sommitale e insediamenti umani sparpagliati, residuo del secolare sistema mezzadrile. Lo sguardo può distinguere se mai, la maggiore sinuosità e la dolcezza delle curve orografiche della bassa Toscana rispetto ai profili più scoscesi delle colline di Umbria e Marche, specie in prossimità della catena appenninica; oppure la differenza di colore degli antichi borghi, legata strettamente al materiale litologico utilizzato.
Lo sguardo si ferma qui, non può penetrare a fondo le sfumature più sottili che distinguono una collina da un’altra a poca distanza, un terreno da un altro, pur confinante. I prodotti della terra, invece, possono farlo, anzi, devono se non vengono alterati da manomissioni e mistificazioni che nulla hanno a che fare con quanto la terra medesima restituisce da secoli.

Il vino, più di tutti, ha questa capacità descrittiva e riassuntiva delle peculiarità di un versante, di un terreno, addirittura di un vigneto perché ne interpreta la composizione del suolo, la sua esposizione al sole, al vento, e alle escursioni termiche.

Oggi, con la crescente valorizzazione dei vini di territorio, inteso come entità unica e irripetibile che dà vita a vini altrettanto unici e altrove irripetibili, sta crescendo l’attenzione alla specifica provenienza delle uve. Il presupposto o la conseguenza di ciò è la cura del territorio medesimo senza interventi invasivi o estranei alla naturalità della terra. Identico approccio è applicato in cantina dove l’aiuto della chimica è bandito. Il senso base di un vino “naturale”, al di là delle molteplici sfumature con cui declinare l’aggettivo, è proprio questo: vino che dichiara la sua territorialità e appartenenza ad un contesto pedoclimatico riconoscibile nel bicchiere.
In quest’ottica le Denominazioni di Origine restano riferimenti utili solo ad inquadrare una macro area geografica e un disciplinare di vinificazione di un vitigno o più vitigni, ma le peculiarità di zone più circoscritte all’interno di una Dop sono azzerate.
In molte aree vitivinicole e Dop storiche si è iniziato a ragionare in termini più fedelmente identitari e la formulazione di mappe che identificano singoli “cru” di una stessa Dop è il segnale di un cambiamento di prospettiva oggi in atto un po’ ovunque: il lavoro di Alessandro Masnaghetti con Enogea è, in questo senso, esemplare. Ma non è il solo.

Queste riflessioni da automobilista solitaria hanno trovato conforto e riscontro proprio a Cupramontana dove giovani vignaioli di aziende anch’esse giovani, attive nel cuore della denominazione Verdicchio Castelli di Jesi, hanno aderito alla “Strada del Gusto” del Comune di Cupramontana: un percorso turistico-museale (riporto dal sito web di riferimento) “in grado di raccontare i “luoghi” cuprensi attraverso il suo prodotto principe, il Verdicchio, la sua cucina, la sua storia contadina.”

Il Verdicchio non ha bisogno di riflettori: è uno dei bianchi italiani più rinomati e noti e le Marche sono da anni lanciate nel mercato del vino proprio grazie ad esso, con le due Dop che lo riguardano, la Castelli di Jesi e Matelica.

Pur consapevoli di questo, a Cupramontana hanno voluto fare di più: raccontare il Verdicchio di quel territorio in modo più fedele, creando una zonazione che ne restituisse una lettura dettagliata attraverso la descrizione delle origini geologiche e delle esposizoni dei vigneti. Proprio per garantire una maggior fedeltà territoriale, a Cupramontana ci si orienta verso la vinificazione di uve provienienti da singoli vigneti e medesime zone.
Dietro tale operazione non c’è la volontà di autocertificare la bontà del Verdicchio di Cupramontana rispetto ad altri, ma la sua specificità: una finalità dal valore culturale che fotografa, più fedelmente di quanto faccia la denominazione, i caratteri di questo Verdicchio.
L’iniziativa dei vignaioli di Cupramontana ricorda la battaglia condotta da Veronelli negli anni ’90 per affermare l’origine comunale dei prodotti agricoli, in polemica con la politica di creazione delle Doc.
Identificare un comune o un territorio con i suoi specifici tratti è il presupposto per poterlo comunicare, promuovere e preservare, ma anche per incentivare altri produttori a diventarne fedeli interpreti, innescando, così, un circolo virtuoso che fa solo bene alle tante culture e tradizioni enogastronomiche del nostro Paese.

Le interessanti degustazioni di Cupramontana sono state la prova sul campo di quanto abbia senso e valore la creazione della Strada del Gusto sebbene l’obbiettivo dei due eventi fosse quello di evidenziare  la grande capacità di tenuta nel tempo del Verdicchio di Cupramontana (degustazione guidata da Fabio Pracchia) e la sua versatilità nel proporsi con successo anche in versione spumante (assaggi introdotti e guidati da Alessio Pietrobattista e Monica Coluccia).

I dieci vini assaggiati nella prima degustazione hanno abbracciato un arco temporale di oltre venti anni, iniziando con un Verdicchio del 2014 e terminando con un vino del 1988.
Non è stato facile reperire annate vecchie, sia per la giovane età delle aziende che per la mancanza di un cultura della storicizzazione che solo di recente ha iniziato ad affermarsi, specilmente nei confronti dei vini bianchi.
Annate diverse e stili di vinificazione diversi hanno consentito di apprezzare le tante sfumature dei Verdicchio locali in relazione al luogo e al tempo.

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Ecco, in sintesi, l’elenco degli assaggi:
Di Giulia, “Grottesco” 2014, il più giovane della batteria per la più giovane delle aziende in un’annata non proprio felice. Da vigneti a ridosso del paese.
A dispetto delle premesse, apparentemente non facili, il vino, macerato due giorni sulle bucce, mostra stoffa e carattere: spinta acida dovuta all’annata, alla gioventù e al vitigno, of course, che ben bilancia l’apporto più materico delle bucce. Entra in bocca con densità che sfuma in sapidità e lascia una insolita freschezza floreale al gusto. A me è piaciuto assai. Brava Giulia Fiorentini.
Ca’ Lyptra, “Kypra” 2013, da Contrada San Michele, per un’annata dal clima più continentale che mediterraneo: sensazione olfattiva di affumicato, di gessoso che tornerà in altri vini della zona e che qui si accompagna a profumi di crosta di pane. Giuro che alla cieca avrei detto di avere di fronte uno Champagne! Sapidità pietrosa in bocca e freschezza spiccata. Da ricordarsene tra qualche anno per tornarci su.
Cherubini, “Fonte Cherubini” 2013, Verdicchio Superiore, vigne confinanti con quelle di Di Giulia: riecco la nota affumicata al naso, insieme al frutto bianco che rimbalza anche in bocca accanto alla sapidità. Rispetto ai precedenti, qui si avverte un po’ l’alcol.
Quaresima, “Diamante” 2012: una specie di vin de garage, con poche bottiglie prodotte per un’annata equilibrata che, a mio parere, non si evince dal vino. Si riconosce l’impronta ammandorlata del vitigno, ma ha una eccessiva nota alcolica. Diamo fiducia all’azienda: si farà.
La Marca di San Michele, “Capovolto” 2009, l’evoluzione ha già fatto un suo percorso. Il naso coglie sferzate di menta, canfora, fieno e l’affumicato arriva subito dietro, seguito dal frutto giallo. Il palato viene ammantato di pastosità con incursioni fresche, anche qui mentolate, e solita scia sapida. Già tutto un altro Verdicchio rispetto ai precedenti.
Vallerosa Bonci 2007. Si accentuano le note terziarie con un accenno di ossidazione insieme ai soliti effluvi di affumicato, qui anche tostato. In bocca, dopo un attacco burroso e morbido, un finale solo lievemente amaricante. Un vino pulito ed equilibrato a dispetto dei dieci anni in bottiglia.
Frati Bianchi “Il Priore” 2003, annata calda come caldo è il sorso di questo Verdicchio, pur con tracce di freschezza ancora tangibili e godibili. L’affumicatura non sfugge all’olfatto, come il frutto giallo. Peccato per la sensazione troppo alcolica.
Colonnara, “Tufico” 1999, Vinificazione da uve surmature e botritizzate; il naso coglie sentori di graminacee, di fieno, di fiori bianchi. Al palato una certa viscosità tattile e note mielose al gusto. Più fresco al naso che in bocca.
La Distesa “San Michele” 1997. Bella storia dietro a questo vino: Corrado Dottori, proprietario dell’azienda, lo ha trovato in cantina e lo ha imbottigliato. L’artefice ne è stato il mezzadro che lavorava per il padre di Corrado, un anziano contadino di 91 anni, Pietro Branchesi, che fino a pochi anni fa ancora vendemmiava. Pietro ha solo la seconda elementare, ma è laureato honoris causa in virtù di una vita trascorsa a lavorare la terra e a realizzare capolavori come questo vino. Vinificava macerando le bucce per due giorni con alzata del cappello, senza lieviti indigeni, in botti di quercia di 32 ettolitri. Passato l’inverno, chiarificava con albume d’uovo.
Corrado Dottori ha imbottigliato il vino spillandolo dalla botte in cui Pietro lo aveva lasciato. Il naso sembra quello di un vino vivo, di slancio giovanile, fresco, ma carico di complessità aromatica: c’è frutto, fiore, scatto erbaceo, mineralità. E l’incanto olfattivo si centuplica in bocca con una tridimensionalità che trascina il sorso verso la freschezza mescolata alla morbidezza, con un intreccio tra polposità croccante e sapidità che permangono in una scia interminabile. Superbo!
Colonnara “Cuprese” 1988: questa volta niente vendemmia tardiva e surmaturazione. Il vino non sembra avere undici anni più del precedente della stessa azienda. Solo il naso gli si avvicina con quell’impronta di erbaceo e graminaceo dominante. Invade il palato con morbidezza glicerica, carezzevole che sul finale si trasforma in un’inaspettata e sorprendente freschezza giovanile. Ha ancora vita davanti a sé.

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Solo un breve accenno alla seconda degustazione sui Verdicchio spumantizzati, non solo Cuprensi, messi a confronto con un Trento Doc (Moser) e un Franciacorta (Mosnel).   Ottima la prima prova dell’azienda cuprense Ca’ Liptra che con il non dosato “Le lute” (le scintille, in dialetto) del 2013, 24 mesi sui lieviti, ha sfoggiato al naso sentori delicati di frutto e fiore bianco e una bocca morbida in ingresso che chiude in chiave acido-sapida. Spumante non ancora in commercio.
Un’anteprima anche per il dosaggio zero di Di Giulia, “Gioiamia” 2014, 36 mesi sui lieviti, dalla marcata freschezza in naso e bocca.
Una conferma positiva per la Marca di San Michele, col dosaggio zero “Numero Uno”, 2014, non sboccato: il naso rileva le fecce fini, note cerealicole, fiori bianchi, meno nervoso del precedente, chiude in bocca con aromi erbacei e con sapidità tipica.
Ancora da Cupramontana, Vallerosa Bonci, Riserva Brut 2010, fino a poco tempo fa uno dei pochi Verdicchio spumantizzati; il dosaggio si avverte nella maggiore cremosità e morbidezza, ma al naso esce fuori la tipica nota affumicata dei Verdicchio cuprensi.
Lasciando Cupramontana, il Garofoli 2009, pas dosé, con lunghissimo affinamento sui lieviti (72 mesi) si distende con snellezza e ed eleganza sfoggiando al naso note fresche e salmastre che trovano pieno riscontro in bocca. Tornando a Cupramontana, “Ubaldo Rosi” Brut 2009 di Colonnara, 60 mesi sui lieviti: il naso incontra la solita nota fumé e spezie bianche, la bocca coglie  morbidezza nell’immediato, ma si stempera in un finale agrumato e fresco. Al di fuori di Cupramontana, il dosaggio zero di Pievalta, (Maiolati Spontini) “Pierlugo” 2015, fa 13 mesi sui lieviti che apportano minor complessità al naso dei precedenti; in bocca si offre con maggior morbidezza dei cuprensi. Infine ci si sposta a Matelica con Borgo Piaglianetto e il suo Brut 2013 da 30 mesi sui lieviti: note fumé, erbacee, agrumate, nordiche, bocca cremosa con chiusura fresco acida, ma senza timbro salino.

L’intento della degustazione, ben riuscito, era quello di dimostrare la capacità del Verdicchio di sfoderare stoffa anche col metodo classico nonostante per molte aziende la spumantizzazione sia iniziata da poco e ancora in fase sperimentale. Ma nessuno dei vini ha mostrato défaillance, né i millesimi più giovani, né i veterani, né quelli dosati, né i dosaggio zero. Ognuno ha mostrato un suo stile, forte di un vitigno che è capace di adattarsi a diverse tecniche di vinificazione.

A Cupramontana il Verdicchio ha la sua riconoscibilità nella freschezza, più o meno spiccata a seconda dell’altitudine dei vigneti, freschezza arricchita dalla tipica sapidità e da una ricorrente nota affumicata. Ha minore ampiezza fruttata di altri Verdicchio di versanti più bassi e più caldi, ma una grande finezza e una capacità di evoluzione nel tempo che arricchisce i vini di note erbacee e aromatiche che donano complessità e soprattutto tipicità. Tutto questo, ora, è chiaro anche a noi appassionati grazie all’operazione che stanno compiendo le aziende attive in terra Cuprense, capaci di fare squadra per il bene della loro terra e del loro vino: che sia di modello per altri territori.

Il mio rientro in notturna da Cupramontana, nonostante il buio, è stato più luminoso dell’andata.

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