Quanti di noi, agli esordi dell’esperienza di enodegustatori, hanno formulato una simile riflessione, trattenendola nell’intimo o bofonchiandola ai compagni di bevuta. La sento pronunciare spesso anche da esperti che dopo aver degustato un vino alla cieca si accorgono di averlo valutato più alcolico di quanto l’etichetta riporti: è sempre colpa del vignaiolo che ci ha marciato nell’etichettatura.
Meno frequente e forse più stupefacente il caso opposto: guardare incuriositi l’etichetta di un vino appena assaggiato, aspettandosi un gradazione modesta e scoprire, invece, un valore al di sopra dei 14,5% o 15%. Bianchi o rossi, non c’è differenza.
Si sa che i produttori tendono a riportare per difetto l’alcolicità in etichetta (è legale, c’è un range di tolleranza di 0,5% in più o in meno o 0,8%, a seconda dei vini) perché chi sceglie un vino senza possedere strumenti critici, spesso si affida ad elementi accessori come la gradazione alcolica (di solito la si preferisce non troppo alta), la certificazione bio, il vitigno e il prezzo.
Torniamo alla gradazione alcolica o, per dirla correttamente, al titolo alcolometrico volumico effettivo. Un’attenzione ad essa, prima di stappare una bottiglia, è più che giustificata se si intende restare il più possibile lucidi durante la bevuta, o salvaguardare i nostri invitati poco abituati al vino, o se la cena si prospetta troppo frugale per abbinarvi un vino alcolico. Se ci aspetta una serata galante e per far colpo ci presentiamo con un Amarone da 18 gradi alcolici, facciamo sicuramente una bella figura (se l’altro/a sa cos’è un Amarone e se quello prescelto rientra tra i blasonati) ma rischiamo di annientare in men che non si dica il/la nostro/a commensale (a meno che ciò non sia premeditato!)
Strategie di “acchiappo” o di annientamento calcolato a parte, l’attenzione alla gradazione alcolica non ha altre ragion d’essere. E mi scatta l’intolleranza quando sento pronunciare la frase del titolo da qualche “degustatore so tutto io” o quando altri si cimentano nel toto-gradazione e si sentono super esperti di vino perché hanno azzeccato la cifra riportata in etichetta. Ma di cosa parliamo?
È possibilissimo, anzi, auspicabile che un vino rosso da 15, o 16 o più gradi non mostri al palato la sua potenza alcolica così come è frequente assaggiare vini da 12 gradi o poco più in cui l’alcool è il marcatore dominante. Il reale contenuto alcolico di un vino di per sè non vuol dire nulla, non è elemento che concorre alla qualità: lo può diventare solo alla prova di assaggio e già l’olfatto può cogliere indizi utili.
Altrimenti sarebbero imbevibili tanti caldissimi rossi del Sud, o tanti Amarone già citati, la cui eccelsa qualità, quando presente, risiede nella loro polpa e nella strabiliante densità materica che controbilancia e integra l’alcool.
È l’estratto secco del vino, ovvero la sostanza del vino, il corpo, la “ciccia”a fare la differenza e a marcare la qualità: più poderosa è la sostanza, più l’alcool sarà stemperato e assorbito da essa, quindi meno percepibile al naso e al palato.
Il che determina anche la qualità del vino. Viceversa, poco estratto equivale a far emergere in modo fastidioso anche un modesto contenuto alcolico. Sto parlando di opposti estremi, ma la regola vale per tutti i vini, anche per quelli a gradazione alcolica intermedia.
Il palato può non percepire l’alcool, ma la testa sì, pertanto, se non volete appesantirvi alla vigilia di una giornata impegnativa o non volete mettere ko gli ospiti o i commensali, controllate pure la gradazione alcolica di un vino. In ogni caso, per non avere postumi da alcool è sufficiente moderare l’assaggio, comportamento raccomandabile sempre (ops…mi sta spuntando l’aureola!)
Ultima raccomandazione, a salvaguardia della vostra reputazione amorosa: non lanciatevi mai nell'”indovina che gradazione ha ‘sto vino” a meno che non vogliate sfidare la sorte; se ci azzeccate siete solo fortunati al gioco, perciò tirate voi le conclusioni. Big smile
POSTILLA TECNICA, per i non esperti:
nell’articolo ho usato una dizione di comodo e comprensibile. Nel linguaggio enologico, l’alcool riportato nelle etichette dei vini si definisce con l’espressione titolo alcolometrico volumico effettivo o svolto cioè quello realmente contenuto nel vino che è diverso dal titolo alcolometrico volumico potenziale che è quello che si avrebbe se il residuo zuccherino (tutti i vini secchi ne hanno) fosse trasformato in alcool. Un vino con titolo alcolometrico volumico effettivo di 12% vol vuol dire che 1 litro di quel vino è composto per il 12% da alcool, per l’esattezza da 120 ml.
L’espressione, ormai desueta, ma ancora utilizzata, “gradazione alcolica” deriva da una vecchia misurazione fondata sui gradi “Gay-Lussac” (°GL), che definiva come 0 °GL un distillato di acqua pura e 100 °GL un distillato di alcool puro.
Esiste poi il Titolo alcolometrico volumico totale, cioè la somma di effettivo e potenziale (si può trovare ad esempio negli spumanti e nei vini liquorosi). C’è, infine, il Titolo alcolometrico volumico naturale, cioè il titolo alcolometrico volumico totale del prodotto, prima di ogni arricchimento.
La tolleranza rispetto al valore in etichetta è di 0,5% vol in più o in meno (0,8% per vini DOP e IGP conservati in bottiglia per più di 3 anni, e per VS, VSQ, VF, VL, Vini da Uve Stramature).
L’alccol ha un potere antibatterico: vini poco alcolici sono più a rischio di malattie di quelli a tenore alcolico elevato. Di conseguenza (ma cerco conferme) vini più alcolici hanno bisogno di minor quantità di anidride solforosa, un conservante poco rispettoso della nostra salute.
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