Come annunciato nel mio precedente articolo sul Vinitaly 2018, ecco una cernita dei miei assaggi effettuati in quel contesto. Ho sempre la sensazione di citare l’elenco della spesa quando parlo a spot di bottiglie incontrate nelle grandi fiere, ma è impresa impossibile contestualizzare tutti gli assaggi e raccontare tutte le aziende e i produttori che vi si incontrano. Gli assaggi delle fiere si concentrano attorno al valore della scoperta, della conferma o della delusione, a seconda dei casi. Valgono in quanto precursori alla conoscenza di nuovi territori, produttori, vitigni e, ovviamente, vini. Sono ginnastica preparatoria all’attività principale e ineludibile per chi scrive e parla di vino: la visita in cantina, la conoscenza diretta di quel mix, unico in ogni luogo, di vitigno, terra, clima, biodiversità e mano dell’uomo, mix che ai banchi di assaggio resta in un velato sottofondo. Ma nella prospettiva della scoperta, le fiere restano occasione insostituibile e preziosa.
Dare conto degli assaggi migliori e delle relative aziende è anche omaggio dovuto a chi si è prodigato ad offrire e raccontare con passione i propri vini pur nella costrizione dei tempi fieristici.
Eccoli qua, molto in generale:
Tenute Bosco, dalla Sicilia Etnea, che mi ha subito deliziato con il bianco “Piano dei Daini” che è un blend di uve autoctone privenienti da due contrade diverse, bello fresco e dotato di sensazioni fruttate e floreali sia al naso che in bocca, con una tessitura salina a dargli slancio; poi il rosato da Nerello Mascalese che ho già incontrato e segnalato in occasione della rassegna “Italia in rosa” 2017, intonato su note fresche ed eleganti; tra i due rossi mi è piaciuto molto il “Vico”, con uve provenienti da un vigneto prefillossera risparmiato dall’eruzione devastante del 1879: morbido ed esile, fruttato e minerale, destinato a lunga vita.
Ancora Etna: Frank Cornalissen mi ha colpito con il bianco “Munjebel”, Carricante più Grecanico, che intriga subito il naso per la varietà fruttata e floreale che promana, che torna a farsi sentire in bocca insieme alla sapidità; dei suoi innumerevoli rossi ricordo il “Monte Colla” 2016, già con un bell’equilibrio.
Di nuovo Etna, e ancora versante Nord: Girolamo Russo e il “Nerina” 2017, bianco, 70% Carricante e 30% altri vitigni a bacca bianca, che si presenta con profumi delicati, soffusi di mineralità e gusto in parte sapido e in parte lievemente fruttato; il rosso “‘A Rina” 2016, tipico blend etneo di Nerello Mascalese al 90% e il resto Nerello Cappuccio offre al naso un mix tra tabacco e frutti rosso scuri, bocca succosa, dal tannino elegante e persistenza prolungata; cito ancora il “San Lorenzo” 2016, solo Nerello Mascalese, da un vigneto sito ad 800 m.s.l.m., che sfoggia al naso profumi di frutti rossi, essenze balsamiche, erbe aromatiche, fiori viola che prelude ad un assaggio morbido, di struttura, ma animato da prolungata freschezza; ancora più avvolgente al naso e in bocca il “San Lorenzo” 2015. Tutti i rossi fanno legno e cemento.
La Calabria è per me una tappa del cuore. Nel padiglione ad essa riservato ho scoperto Le Moire, in provincia di Catanzaro, vicina al fiume Savuto da cui prende nome la Doc: di bella stoffa il rosso “Annibale” 2015 da Magliocco e Sangiovese (che, non dimentichiamo, ha origini calabresi): bocca equilibrata, dal tannino ben integrato e ottima persistenza; ancor più intense le sensazioni del rosso “Mute”, dalle uve di Magliocco migliori e più mature. Entrambi fanno solo acciaio.
Tenute del Conte, a me già nota, della “Cirò girl” Mariangela Parrilla, mi ha stupito con il nuovo bianco macerato da uve Greco Bianco: profumi fruttati, floreali e soprattuto erbacei e bocca pastosa, densa, ma anche fresco acida e lievemente astringente. Un nuovo gioiello insieme agli altri dell’azienda.
Continuando a parlare della Calabria anticipo un assaggio dal ViViT: Tenute Pacelli, delle sorelle Pacelli, a Malvito, non distante da Castrovillari, in provincia di Cosenza. Di stoffa lo spumante metodo classico “Zoe”, Brut millesimato da…Riesling Renano:
l’idrocarburo al naso resta remoto, surlcassato dai profumi di fiori bianchi e da sensazioni gessose (il terreno di provenienza è calcareo), la bocca si orienta su una piacevole freschezza con spolverata di erbe aromatiche e finale lievemente sapido. Mi tocca venire a patti con la mia idiosincrasia verso vitigni fuori contesto di origine! I vigneti di Tenute Pacelli annoverano altri vitigni internazionali, oltre a Barbera e Sangiovese, portati e impiantati lì dal suo fondatore quando la Calabria vitivinicola era considerata solo fonte di approvvigionamento di uve e si pensava che il limite alla qualità fosse costituito dai vitigni autoctoni! Assai buono anche il bianco fermo “Barone Bianco”, ancora Riesling in purezza: l’annata 2013 snocciola tante erbe aromatiche, frutto a volontà, freschezza e idrocarburo che dà complessità. Tra i rossi scelgo il “Terra Rossa” 2012, Magliocco, Calabrese e Merlot: sebbene al naso si mostri leggermente ossidato, in bocca si dipana gradevolmente con frutto sullo sfondo, tannino esilissimo e buon equilibrio generale.
Ad ogni Vinitaly non posso non andare a salutare gli amici delle cantine Ippolito 1845 di Cirò, azienda storica di quel territorio, oggi vivacizzato da tante nuove piccole realtà, in primis gli autori della rivoluzione cirotana. La cantina Ippolito 1845 fu un mio casuale incontro quando, fresca e ancora disorientata sommelier, andai a Cirò alla ricerca di cantine autoctone: la calda accoglienza che mi riservarono i fratelli Ippolito, la mamma e il cugino Paolo, rinnovatasi poi ad ogni visita, resta per me un ricordo prezioso e segna l’inizio del mio avvicinamento al vino di quei luoghi. Al Vinitaly mi hanno fatto assaggiare il loro rosato “Pescanera” da Greco Nero, letteralmente profumato alla pesca e gradevolmente fresco-sapido in bocca. Poi il Cirò Riserva “Colli del Mancuso” 2014, Gaglioppo in purezza, espolosione di profumi maturi, scuri, vanigliati e speziati, denso in bocca, dal tannino elegante.
Infine il Cirò Rosso Classico Superiore Riserva “Ripe del Falco” 2007, dalla selezione delle migliori uve di Gaglioppo, prodotto solo nelle annate migliori, longevo senza limiti: profumi di sottobosco, rosa appassita, liquirizia, tabacco, con tanta freschezza ancora in bocca, unita a tannino sobrio ed elegante. Oggi le mie preferenze sono rivolte a più piccole realtà vitivinicole a conduzione artigianale e bio, ma non posso negare la qualità gustativa dei vini della cantina Ippolito di Cirò e il ruolo che hanno avuto per me nella consocenza di quello spicchio di Calabria.
Campania, Irpinia: tanti assaggi veloci, soprattutto di Fiano, come quelli presso lo stand dell’azienda Rocca del Principe, dove in realtà ho più apprezzato il Taurasi 2010 dal gusto materico e fresco, privo di asperità tanniche. Idem per i Taurasi di Pietracupa. I bianchi eccedevano un po’ troppo in sapidità.
Ora il ViViT. Vi ho scoperto e assaggiato alcuni vini da vitigni PIWI, acronimo che in tedesco indica i vitigni naturalmente resistenti alle crittogame, risultato di incroci effettuati tra le varietà di vite da vino e le varietà di vite americane resistenti alle malattie fungine. È la Germania la nazione storicamente più attenta alla selezione dei vitigni PIWI a cui segue la Svizzera e l’Austria. Li utilizza l’azienda trentina Villa Persani da cui ricava tra gli altri, un buon rifermentato da Souvignier Gris con aggiunta di mosto di Aromera, il “Silvo”, lievemente aromatico. Curiosa la bottiglia da 50 cl.
Dal Cilento Luigi Maffini il cui Fiano base “Kratos” 2017 riempie la bocca di bella sostanza fruttata, innervata di misurata sapidità; il big è il “Pietraincatenata” che fa barrique e che porta alle narici frutto candito, albicocca e frutta esotica e riempie la bocca di sensazioni morbide con più sottili slanci di fiori di campo e finale ammandorlato.
Marche, Offida, Vigneti Vallorani, buono il Falerio “Avora” 2016 dall’iprinting fresco-sapido; tra i rossi il “Polisia” 2014, Piceno Doc da vigne vecchie, solo acciaio, non troppo concentrato, balsamico e punteggiato di pepe, di bella beva nonostante il tannino sia vivido.
Puglia Nord, Castel Del Monte, Cantine Carpentiere, una mia vecchia conoscenza: se lo scorso anno mi avevano colpito per il Rosato da Bombino Nero, quest’anno hanno fatto centro con il rosso da Nero di Troia in purezza “Pietra dei Lupi” affinato in tonneaux da 750 litri: vino da berne a litri per levità e sostanza che incarna in una stessa bottiglia.
Veneto, Valpolicella, Zýmē: si parte alla grande con un metodo classico da Pinot Nero, non dosato; il Ripasso 2015, invece, snocciola profumi scuri in sovrapposzione fruttata e floreale, macerata e appassita, ma in bocca entra e fila via senza eccessi, con speziata eleganza. Ottimo l’Amarone Classico 2011 che non fa pesare per nulla la sua tipica morbidezza ; straordinario, per me, l'”Harlequin” 2009, blend di 15 uve, che affina 9 anni in legno.
Un assaggio rapido presso l’azienda Divella, in Franciacorta, che ha piacevolmente sorpreso con i suoi spumanti dosaggio zero, in particolare con il Pinot Nero millesimo 2014, sboccato nel 2017: spessore, densità, freschezza, sapidità e lunghezza.
Per finire segnalo due interessanti degustazioni, una a rappresentare l’Irpinia
vitivinicola, guidata dalla ormai padrona di casa di quei luoghi, Monica Coluccia, e un’altra sui vini rosati provenienti dai territori di più antica tradizione rosatista italiana, con guida autorevole di Angelo Peretti.
Appuntamento al prossimo Vinitaly.