In Francia la chiamano Grenache, in Spagna Garnacha, in Liguria Guarnaccia e siamo ancora in assonanza fonetica; man mano che ci si allontana da Spagna e Francia l’onomastica si trasforma: in Sardegna è conosciuto come Cannonau, nel vicentino come Tai Rosso e nelle colline intorno al Lago Trasimeno è diventato Gamay (nessuna parentela col Gamay del Beaujolais). Nomi diversi per un medesimo vitigno. In Italia si dibatte ancora sul luogo di origine, ma l’ipotesi dominante e forse più logica propende per la Spagna da cui si sarebbe propagato al seguito delle conquiste aragonesi. Qualunque sia la provenienza è chiaro che le differenze di denominazione indicherebbero l’acquisizione di una propria identità grazie al radicamento del vitigno nei singoli luoghi in cui si è diffuso, con conseguente perdita di memoria della sua origine: questo è un dato che consente di considerarlo ovunque come vitigno autoctono.
Di Grenache in tutte le sue varianti locali, ma in particolare del Gamay del Trasimeno, si è parlato a Castiglione del Lago durante l’evento “Grenache Italia”, primo del genere in Italia, sulla falsa riga del più celebre evento internazonale “Grenache du Monde” che si tiene ogni anno per promuovere la produzione e la conoscenza del vitigno e del vino che ne deriva.
I viticoltori del Trasimeno intendono puntare sul Gamay autoctono per conquistare una visibilità e riconoscibilità vitivinicola che ancora non si è del tutto compiuta, ma che ha le risorse necessarie per compiersi. Tale obbiettivo è oggi agevolato dal rinato interesse per i vitigni di territorio che ha condotto al recupero di vitigni minori, da sempre utilizzati come uve da taglio capaci di colmare carenze dei vitigni principe o di smussarne asprezze. Il Gamay del Trasimeno è tra questi.
Il nuovo orizzonte gustativo dà un’ulteriore mano: passata ormai l’epoca dei vini rossi aggressivi che cercano morbidezza in sentori di legno ben pronunciati, il gusto oggi si orienta verso vini privi di eccessi, capaci di raggiungere un equilibrio di sensazioni senza il contributo marcante del legno, disponibili ad essere bevuti giovani, ma in molti casi capaci di accrescere la qualità nel tempo. Il Gamay-Grenache risponde a queste caratterisctiche organolettiche: essendo un vitigno isoidrico, cioè capace di regolare la perdita d’acqua in periodo di stress idrico, riesce ad adattarsi a climi siccitosi, come in certe zone della Sardegna dove il Cannonau dà vini più concentrati. Al contrario al Trasimeno, dove il clima è più fresco e piovoso, il rischio di avere vini concentrati è relativo perché il vitigno tende alla vigoria e i vini che ne escono sono molto più orientati verso la freschezza e l’eleganza. Un’altra peculiarità delle Grenache-Gamay del Trasimeno è quella di non avere tannini in potenza, caratteristica che, combinata alla giusta fertilità dei terreni, come quelli intorno al Trasimeno, può donare ai vini un tocco di eleganza. Con simile profilo il Gamay del Trasimeno, come tutte le Grenache, va avvicinato al legno con cautela.
Fin qui sembrerebbe una strada tutta in discesa quella da percorrere affinché il Gamay del Trasimeno si affermi come nuovo prodotto di punta dell’enologia umbra, ma c’è un freno rappresentato dall’esiguo numero di ettari, all’incirca 66 (dati del 2010) con un trend in discesa che riguarda tutta la produzione italiana di Grenache (in controtendenza con la Francia) anche se la produzione vivaistica sta crescendo. Un freno facilmente superabile con la volontà dei produttori. Al momento sono due le aziende del Trasimeno che puntano con successo sul Gamay in purezza, una delle quali, Duca della Corgna, cooperativa di oltre 200 soci, è la realtà dominante a cui si affianca l’azienda a conduzione famigliare “Madrevite” che ha riprodotto per selezione clonale alcune vecchissime piante di Gamay presenti nelle sue proprietà (in zona le chiamavano “uva francese”) dando vita a nuovi impianti.
La giornata di approfondimento sulle Grenache ci ha fornito l’occasione per assaggiare i Gamay in purezza delle due aziende del Trasimeno insieme ad altre Grenache provenienti dalla Sardegna, dal Veneto e dalla Liguria. Il Divina Villa, etichetta bianca, 2016, Duca della Corgna, affinato in acciaio, è l’emblema della bevibilità declinata su note di frutto rosso fragrante e profumato, intessute di pungenza speziata che vivacizza naso e gusto là dove un remotissimo tannino non può dare verticalità : semplicità e tanta sostanza. Un bell’esempio di Gamay da godere giovane.
L’altro esemplare della stessa azienda, il premiato Divina Villa etichetta nera, annata 2015, affinato 12 mesi in barrique di rovere francese, prodotto con le migliori uve, si fa percepire al naso con i tipici sentori dolci del legno; il sorso, con un incipit sferico, prosegue diritto con una elegante innervatura tannica e fresche note balsamiche : un Gamay che ha la giusta stoffa per arricchirsi della presenza del legno senza soffrirne.
L’esemplare di “Madrevite”, C’osa 2016, nuovo nato dell’azienda e proposto in anteprima all’evento di Castiglione del Lago, matura 6 mesi in acciao, 12 mesi in tonneaux e 6 mesi in bottiglia. Nonostante sia stato stappato prima di terminare l’affinamento ha esibito una complessità di naso davvero intrigante con note floreali e mentolate che si mescolano al frutto e alle più dolci sensazioni vanigliate. La bocca non si perde in eccessive morbidezze, ma regala una freschezza calata in una struttura densa ed elegante.
Gli esemplari sardi denunciano la provenienza da un territorio più esposto al caldo e alla siccità, con sensazoni fruttate orientate sul frutto scuro, non privi di un’acidità che li predispone all’invecchiamento; a seconda delle zone e dei terreni, i Cannonau possono esssere più o meno alcolici. Con caratteri opposti il Tai Rosso dei Colli Berici che negli esemplari assaggiati evidenzia una bassa gradazione alcolica, tannini impercettibili e una netta supremazia dell’acidità che non riesce sempre ad amalgamarsi alla densità fruttata. Infine la Liguria, con due assaggi di Granaccia dalla Riviera di Ponente e dalle Colline Savonesi: al netto di sentori di legno, in questi esemplari è la sensazione di salinità marina a fare la differenza.
È evidente che il lago, con i suoi effetti benefici, dona al Gamay equilibrio ed eleganza che se ben gestite possono dar vita a vini di rara qualità. Il potenziale del vitigno è altissimo, i tempi sono quelli giusti per proporlo al mercato ed è ottima l’idea di candidare il Trasimeno ad ospitare l’edizione del 2021 di “Grenache du Monde”: un incentivo ad incrementare gli ettari vitati.
Mi permetto di dare un suggerimento: visto che si è agli inzi di un percorso perché non orientarsi verso una conduzione ecosostenibile in vigna e in cantina, specie per eventuali e auspicabili nuovi vigneti e, perché no, convertire i vecchi? Il vitigno e il clima si prestano ad un’agricoltura biologica o integrata. Non si tratta solo di strategia di marketing per conquistare fette di consumatori alla ricerca di vini c.d. naturali o biologici, oggi in aumento (e con esso i numerosi eventi e fiere che riguardano i vini di questo tipo) ma di un approccio coerente con quanto si va perseguendo: se l’idea è quella di associare il Gamay del Trasimeno ad un territorio che è giustamente apprezzato per le sue bellezze naturali e paesaggistiche, quale miglior biglietto da visita di un vino locale, prodotto in modo rispettoso dell’ambiente e della salute dei consumatori che vengono in visita?
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