Approfitto della due giorni che si è da poco conclusa a Narni in onore del Ciliegiolo per dire qualcosa attorno a questo vitigno che, abbandonato il ruolo di uva da taglio capace di ammoribidire e ammansire vitigni più nervosetti e alcolici (in primis il Sangiovese), si sta ritagliando uno spazio tutto suo nella versione in purezza.
Il Centro Italia è il suo habitat abituale con presenze fino in Liguria, a Nord e, sporadicamente, anche in Puglia. Radicato, da che memoria storica ci supporta, in quel lembo di territorio umbro circroscritto tra bassa valle del Tevere e bassa valle del Nera, il Ciliegiolo ha trovato lì un gruppo di appassionati vignaioli che si sono impegnati da qualche anno nella sperimentazione e ricerca della sua espressione più autentica come monovitigno.
C’è sempre un viticoltore apripista che per primo dona nuova dignità ad un vitigno e a un vino: in questo caso si tratta di Leonardo Bussoletti di Narni che con il suo Ciliegiolo in purezza “Brecciaro” ha guadagnato vari riconoscimenti che hanno acceso i riflettori sul Ciliegiolo e sul territorio narnese.
Il Ciliegiolo è uno di quei vitigni la cui personalità si plasma e differenzia a seconda del terreno che lo ospita, da cui può derivare un vino più beverino, la maggioranza dei casi, o uno più muscoloso: i Ciliegiolo del narnese sono per lo più del primo tipo (con eccezioni), diversi da quelli di Maremma dove una terra più pesante e generosa restituisce un Ciliegiolo dalla maggior concentrazione polifenolica.
Le note fruttate, fresche, tra cui predomina la ciliegia, con frequenti sentori di spezie pungenti, sono il tratto più ricorrente e riconsocibile dei vini da Ciliegiolo; in bocca è leggero, slanciato, agile, poco tannico. Una tipologia di vino orientata alla finezza più che all’opulenza, alla bevibilità piacevole più che alla potenza di estratto e alla muscolosità. Qualche esemplare può ambire alla longevità, anche se limitata nel tempo, ma la maggior parte dei vini da Ciliegiolo si possono e si devono godere giovani.
Gli assaggi ai banchi di “Ciliegiolo d’Italia”, terza edizione, hanno evidenziato una certa varietà espressiva tra un’azienda e l’altra legata non solo a diversità di tessitura del terreno di provenienza (più marcato tra il narnese e la Maremma), ma anche alle differenti scelte di cantina.
Molte aziende stanno ancora cercando uno stile, testando passaggi in legno di diversa durata, con barrique o legno grande, tecniche di vinificazione e tempi di imbottigliamento differenti. È doveroso sperimentare, specie quando si sta all’inizio di un percorso produttivo ed è giusto proporre i risultati al pubblico per cercare conferme, riscontri o stimoli a cambiare passo.
Mi permetto di osservare che gli esemplari umbro-narnesi con passaggio in legno non mi hanno convinto: il legno smussa gli spigoli, ammorbidisce la carica estrattiva e il Ciliegiolo non ha bisogno di simili aggiustamenti.
Potrei, invece, godere all’infinito della bevibilità elegante del Ciliegiolo di Ruffo Della Scaletta, di Narni, solo acciaio, dal frutto polposo e schietto che ammanta a lungo il palato dopo il sorso. È solo da due anni che vinificano il Ciliegiolo e li esorto a continuare su questa strada.
Complessi e intriganti i Ciliegiolo di Giro di Vento, nella frazione di Schifanoia: il campione di vasca 2016 si apre al naso con profumi che non si limitano ai frutti rossi, ma echeggiano arancia rossa, pesca, garofano rosso e una punta di pepe nero; in bocca ha una succosità senza spigoli, ma di bella e prolungata freschezza. Nell’annata 2015, una macerazione più lunga ha donato maggior struttura al vino: il naso coglie la stessa complessità del precedente e in bocca i tannini danno nerbo e vivacità al sorso. La 2015 di Giro di Vento ci regala anche una riserva, ancora in vasca: il naso coglie subito, oltre al frutto rosso, la pungenza della menta, del pepe nero, della tostatura (derivante dai vinaccioli schiacciati), la rosa rossa, il garofano e l’arancia sanguinella. In bocca c’è una tridimensionalità sopraffina, con un tannino elegantissimo e una scia finale prolungata. Potrebbe essere scambiato per un Barolo o un Pinot Nero!
Infine un’annata più vecchia, la 2011, uno dei pochi esempi di Ciliegiolo con qualche anno sulle spalle: colore granato, frutto e fiore già lontani, bocca di buon equilibrio, gradevole, con tannino già domato. Sebbene verso la vecchiaia, ha ancora una freschezza godibile.
Tra i Ciliegiolo del comprensorio amerino narnese, quello dell’azienda Sandonna, di Giove, al confine con la Tuscia viterbese, si differenzia dagli altri per il terreno di provenienza che marca il vino. Terreno più generoso, ricco di sostanza organica che dona al Ciliegiolo maggior concentrazione polifenolica e massa colorante più intensa. Il Ciliegiolo di Sandonna richiede più tempo prima di entrare in bottiglia e da giovane si presenta più nervoso. Il campione di vasca 2016 mostra un colore rosso ciliegia molto concentrato; l’intensa e variegata impronta olfattiva rivela subito la differenza dagli altri Ciliegiolo, più misurati e composti: note marcate di ciliegia e ribes, fiore viola, talco mentolato, chiodi di garofano, pepe, lavanda, arancia rossa, pesca gialla; più il naso indugia, più scopre nuove sfumature che si devono all’altitudine dei vigneti (300 m.s.l.m.) e alle forti escursioni termiche tra il giorno e la notte. In bocca si avverte la gioventù, ma seppur tangibile, il tannino non è per niente invadente e il vino si concede al palato con dinamicità e croccantezza nonché con una buona persistenza. La 2015 mostra la medesima tavolozza olfattiva e si concede alla beva con un tannino asciugante, ma bilanciato da ottima freschezza. Un ciliegiolo un po’ più verticale anziché orientato alla pienezza fruttata, ma che non avverte il bisogno del legno: i vini di Sandonna sperimentano con successo solo acciaio e cemento.
Il Ciliegiolo di Sandonna rivela molte similitudini espressive con quello dell’azienda Sassotondo di Sovana, al confine con il Lazio: l’anello di congiunzione sono la vicinanza geografica e la somiglianza di tessitura dei terreni che donano vitigni più complessi. Il tufo aggiunge mineralità vulcanica ai vini di Sassotondo.
L’azienda di Sovana è a conduzione biodinamica dal 2007; produce un Ciliegiolo base, da vigne più giovani e un altro affinato in barrique e botte di rovere per 24 mesi. Il base, annata 2015, presenta tutte le note olfattive fruttate tipiche del vitigno con punte di pepe, caffè, pesca gialla; in bocca mostra la presenza tannica, ma stemperata dalla ricchezza di frutto e polpa: un vino affilato e diritto, ma di ottima beva ed estremo equilibrio. Con questo vino Sassotondo ha meritato il premio all’ultima edizione di “Ciliegiolo d’Italia” per il “lavoro di comunicazione e diffusione nella conoscenza di questo vitigno”.
Il “San Lorenzo”, passato 24 mesi in botte piccola e grande, si concede al naso con sussurrate note dolci da legno che non coprono il frutto e il fiore. A sorpendere è il gusto di estremo equilibrio tra verticalità e morbidezza, un vino dinamico, multidimensionale, croccante e denso, fresco e levigato, minerale e dolce.
Due parole sul rosato da salasso prodotto da Sassotondo: l’annata 2016 si offre al naso con profumi fruttati lievi di arancia sanguinella, pesca, fiore rosa, fragoline e uno sbuffo sapido che vivacizza. La bocca esplode in freschezza fruttata, bilanciata da mineralità; si avverte un accenno tannico che aggiunge dinamicità al sorso. Ottimo.
Altri assaggi fugaci hanno messo in evidenza interessanti versioni di Ciliegiolo in purezza di Toscana, come quelli di Antonio Camillo, di Manciano (Gr), con qualche perplessità sull’utilizzo del legno, a tratti invadente, un po’ meno nelle annate 2013 e 2014, o dell’azienda Alberto Motta, di Alberese, con tannino pronunciato ma ben integrato ed equilibrato. Particolare l’unico esemplare pugliese, quello dell’azienda Casa Primis, nel foggiano: naso più floreale che fruttato, quasi da rosato, con la solita pungenza di caffè; bocca densa, ma priva di tannino e di lunga persistenza: qui il territorio, anzi, quel mix di altitudine, clima, terreno ed esposizione chiamato terroir mette la sua firma nel vino.
Tra i Ciliegiolo umbri al di fuori del narnese cito quelli di Fontesecca (rosso 2015 e 2016) e il rosso “Lautizio” di Collecapretta (che produce anche un piacevolissimo rosato, non presente a Narni): due aziende ubicate in luoghi distanti tra loro, ma accomunate dall’attenzione per la salubrità dell’uva e del vino. Entrambe usano esclusivamente acciaio e/o cemento in cantina (Fontesecca). I loro Ciliegiolo sono ricchi di polpa e materia, con una struttura più marcata in quello di Fontesecca, ma entrambi chiudono in freschezza piacevole.
Sono solo in parte d’accordo con chi ha lamentato la mancanza di un percorso univoco tra i vignaioli del narnese alle prese con il Ciliegiolo: si è osservato che senza una cifra unitaria è difficile dare espressione ad un vitigno e al territorio che lo esprime.
Non c’è dubbio che il vitigno, in questo habitat, porti con sè i caratteri che lo rendono idoneo solo ad un certo tipo di vinificazione: un vino beverino, di scarsa portata polifenolica che non può essere trasformato in vino muscoloso e strutturato, ma può puntare sull’eleganza e la densità di frutto unita a freschezza.
Credo che l’unico appunto vada rivolto a chi sperimenta passaggi in legno snaturando la semplicità e l’immediatezza del Ciliegiolo. Per il resto, ritengo che sfumature e interpetazioni personali del vitigno siano sempre il segno di una dinamicità che allontana dalla standardizzazione e omologazione tecnicistica e avvicina di più alla variabilità naturale dei prodotti della terra.
Questa riflessione la rivolgo anche a chi il vino lo degusta.
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