Capitano serate in cui devi limitarti col bere e col mangiare perché lo stomaco sta ancora rimettendo a posto i pezzi e capita che sei tu ad invitare a cena e siccome sei ‘sta rompipalle di sommelier in mezzo a bevitori della qualunque, non puoi proporre solo acqua! Posso astenermi dal cibo, ma non dal vino se è buono perciò, avendo il vantaggio della scelta di entrambi, riguardo al vino cerco di proporre qualcosa di low profile, giusto per facilitarmi il compito della morigeratezza (tanto i miei ospiti introiettano di tutto). Ero sguarnita di bollicine rispondenti a tali requisiti (non mi sembrava il caso di stappare Champagne e osservare i commensali berselo a garganella mentre io ci bagno le labbra per evitare gli eccessi) così ho attivato il diabolico piano di acquistare Prosecco, sì, quello che col vezzeggiativo-diminutivo bevono anche i gatti durante l’aperitivo. Ma l’indole sommeliera non riesce a venir meno, soprattutto la propensione a non bere l’ordinario (siamo snob, non c’è niente da fare) e quella verso verso vini cosiddetti naturali, perciò sullo scaffale dell’ipermercato iperfornito vado a cercare dei Prosecco “alternativi”, tipo quelli “col fondo” per intenderci. Non c’era il solito noto (che recentemente ho avuto modo di bere provando una certa delusione), ma c’era una simpatica etichetta di un’azienda a me sconosciuta (come tante della Valdobbiadene e dintorni…e dico purtroppo!). Sì, la sommelier-so-tutto-io lo confessa: pur avendo selezionato una tipologia precisa ha scelto un vino in base all’etichetta!
Etichetta realmente essenziale e simpatica, non trovate? Ha pure solleticato il lato amimalista che è in me.
Le informazioni sono concentrate nella retroetichetta: vino frizzante a rifermentazione in bottiglia dell’Azienda Agricola “Ruge” di Valdobbiadene, Prosecco Doc Treviso, 11 gradi alcolici. Pagato 8 euro. La serata da quasi astemia poteva cominciare.
Io ci ho provato a non bere, ma lui, nonostante l’essenziale di nome e di fatto si è offerto al palato con le affilatissime armi della gradevolezza e della bevibilità. A dispetto del suo apparire dimesso (tappo a corona, colore velatissimo in ragione della non filtrazione, scarso perlage, tipico del genere) ha rivelato ai sensi una personalità sorprendente: il naso avvertiva la presenza di lieviti da panificazione, ma anche fiori bianchi appena sbocciati e frutto prematuro; la bocca citrina, tagliente al primo impatto, si distendeva poi in sensazioni un po’ più morbide, ma sempre a dominanza fresca, tali da lasciare il desiderio di berne ancora e ancora…Scordatevi, qui, le semi aromaticità della Glera che pure nella versione più secca dei Prosecco non si allontana dall’impronta zuccherina, per me poco attraente, ma aspetto centrale del successo del Prosecco nel mondo (oltre al costo, alla portata di tutte le tasche).
Ho sofferto nel vedere la bottiglia svuotarsi negli stomaci dei miei ospiti che, voluttuosamente, se lo versavano nel calice non appena questo restava all’asciutto.
Due lezioni ho tratto da questa esperienza: la prima è che a snobbare certe tipologie di vino si perde sempre qualcosa, la seconda è che si può bere bene anche con…”l’essenziale” (ma questa in parte la sapevo già…emoticon con occhiolino).
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