La terza edizione di “BaroloBrunello” svoltasi a Montalcino, nel trecentesco chiostro di Sant’Agostino, ha riunito quarantatré produttori piemontesi e toscani, frutto di una selezione operata dal team di WineZone. Questo il criterio che ha animato i selezionatori: “oltre alla qualità abbiamo premiato l’idea e la rappresentatività che una cantina incarna del territorio d’appartenenza”.
Lo spirito di fondo è stata la volontà di riunire due eccellenze enoiche italiane, vini conosciuti e apprezzati in tutto il mondo, accomunati dalla capacità di raggiungere il massimo livello qualitativo dopo lungo affinamento, prima in legno, poi in bottiglia. Tale peculiarità, comune ad altri vini rossi, ma raramente con identico potenziale di longevità, è data dalla carica polifenolica del Nebbiolo e del Sangiovese Grosso (detto anche Brunello) che dona struttura e persistenza al sostrato fruttato e floreale che si intreccia alle note terziarie, crescenti con il tempo; è sempre il tempo a provvedere ad addolcire e smussare i tannini. Una simile, prodigiosa trasformazione fa sì che il valore di una bottiglia dei due esemplari in oggetto non solo cresca nel tempo, come la qualità del vino, ma abbia un costo mediamente alto già alla sua uscita in commercio. Custodire bottiglie di Barolo e Brunello in cantina è come possedere quadri d’autore che col tempo salgono di quotazione.
I vitigni e i luoghi di provenienza marcano le differenze tra i due vini e all’interno delle rispettive zone vocate, Langhe e colline toscane delimitate dalle valli dell’Orcia, dell’Asso e dell’Ombrone, nel comune di Montalcino, suoli diversi danno vita a vini dalle sfaccettature diverse.
A seconda delle zone si possono incontrare vini dai profumi più fruttati e dal gusto più morbido (in genere su terreni argillosi) o meno fruttati e più affilati (terreni sabbiosi), o più eleganti (terreni marnosi, specie se ricchi di calcare). Ai Brunello anche l’esposizione e l’influsso marino (il mare dista un quarantina di chilometri in linea d’aria) aggiungono variabili al gusto e al naso. L’uso sapiente e accorto del legno aricchisce il vino di aromi e ne accresce la complessità.
(Chiedo scusa agli enoesperti se ho indugiato su questi passaggi a loro ben noti, ma nel farlo ho pensato a chi non ha molta dimestichezza col vino pur conoscendo la fama dei Barolo e Brunello).
La spina dorsale di questi vini dovrebbe incentrarsi sulla tannicità e freschezza gustativa più o meno marcate (a seconda delle sottozone) e ben amalgamate con il resto, assicurando così ai vini un’evoluzione lunga e di sicura crescita qualitativa.
Ho scritto “dovrebbe” perché gli assaggi effettuati ai banchi di “BaroloBrunello” 2016 sembrano indicare che la strada intrapresa dai vignaioli di Langa e Montalcino, almeno quelli selezionati per la rassegna, sia un’altra.
Premetto che tutti i vini degustati hanno mostrato un buon livello qualitativo se non ottimo. Molte aziende hanno portato in assaggio vini dell’ultima annata in commercio, la 2012, alcuni solo la 2011, altri entrambe. In qualche caso, là dove le scorte in azienda lo hanno permesso, anche annate più vecchie. E’ stato propio il confronto con le annate più vecchie ad evidenziare un nuovo stile degli ultimi Barolo e Brunello: quanto tridimensionali, dinamici e ancora freschi sono apparsi i vini con dieci e più anni sulle spalle (anche la 2003, annata calda, la 2005, 2006 e 2007) tanto sono risultati rotondi, levigati, morbidi, larghi quelli del 2011 e 2012, privi della tensione tannica e fresca propria dei vini giovani: vini compiuti, pronti, di facile approccio e di precisa fattura se li consideriamo vini da bere subito, ma di dubbia tenuta nel tempo. Cosa resterà con gli anni a questi vini privi di durezze quando il frutto si affievolirà e i terziari aumenteranno?
Ho trovato eccezioni a questo “nuovo stile” che non è quello dei “Barolo Boys” (che introdussero la barrique in Langa) o di pseudo ” Brunello Boys” perché il legno qui sembra entrarci poco: non è il legno ad arrotondare naso e gusto di questi vini, (salvo rari casi, da bocciare), ma è l’assenza di nerbo e dinamicità, frutto di una tecnica di vinificazioni tendente a ridurre i polifenoli (ad esempio eliminando i vinaccioli, come qualcuno ha dichiarato, o riducendo i tempi di macerazione). Può entrarci anche il global warming? È possibile: da evitare, allora, tecniche tese a ridurre i tannini visto che ci pensa già la natura.
Dicevo delle eccezioni a questa nuova via. Eccole (prendo a riferimento solo le ultime due annate, 2011, 2012). Ho avuto più difficoltà ad individuarne tra i Brunello selezionati per l’evento che per i Barolo, ma non voglio trarne conclusioni perché può dipendere dalle scelte operate dai selezionatori di WineZone.
Barolo:
il solito Rinaldi con il “Brunate” 2012 di freschezza e corpo vibranti, tannino vivo, ma di estrema fattura e persistenza infinita (la 2005 superba).
Renato Ratti, “Rocche dell’Annunziata” 2012, gioventù che si rivela sia al naso che in bocca; frutto fragrante, tannino voluminoso, ma elegante.
Gianfranco Alessandria, Barolo “San Giovanni” 2012 che rivela frutto fresco al naso, fiori scuri, balsamicità, tannino asciugante, ma di buona fattura. Potenzialità per l’invecchiamento. (Il “San Giovanni” 2001 è di una complessità ed eleganza pregevoli).
Giulia Negri, vino di altura il suo Barolo “Serradenari” 2012 (vigna ad oltre 500 m.s.l.m.): corpo, verticalità, pulizia ed eleganza. La stessa vigna nel 2011 risente della stagione calda donando al vino un’alcolicità un po’ più sensibile, ma la fattura è sempre pregevole.
Paolo Scavino, “Bric del Fiasc” 2012, il terreno sabbioso toglie l’eccesso di fruttato presente nel suo “Bricco Ambrogio” e dona un vino più affilato e dinamico. Roberto Voerzio, “Rocche dell’Annunziata” 2012, frutto non invadente, finezza olfattiva, bocca fresca con tannino a dare struttura e nerbo.
Brunello:
Cava D’Onice: poco strutturato il “Colombaio” 2012, migliore il Brunello 2011 con corpo e sostanza costruiti attorno ad una buona trama tannica.
Baricci Colombaio Montosoli: Brunello 2011, per un naso un po’ troppo marcato da note dolci del legno, la bocca è invece affilata con morbidezze ben bilanciate da un tannino vivo e non sgraziato. L’annata calda porta con sé un’alcolicità tangibile.
Pietroso: Brunello 2011, fresco al naso, dai sentori variegati; sorso snello che lascia emergere il frutto senza marcare troppo il gusto e un tannino piacevolmente asciugante che invita a bagnare di nuovo la bocca. La Riserva 2010 ha morbidezze più compiute, ma ancora supportate da freschezza tannica.
Il Marroneto: la selezione di Brunello “Madonna delle Grazie” 2011, da più vigneti, appare più dinamica de “Il Marroneto” della stessa annata e unica vigna, in cui l’alcool la fa da padrone.
Poggio di Sotto: Brunello 2011, freschezza e frutto si combinano armoniosamente con gli aromi del legno, presenti, ma discreti.
Le cantine e i vini non citati non hanno certo scarseggiato in qualità, ma solo in adesione ai caratteri dei Barolo e Brunello conosciuti a apprezzati fino ad oggi, in specie il giovanile ardore proteso verso l’invecchiamento. Perché questo cambio di tendenza? Crisi e contrazione del mercato interno potrebbero aver orientato i produttori ad andare incontro al gusto poco affinato dei nuovi ricchi di Cina e Russia, offrendo loro vini di più facile approccio. Qualunque sia la ragione, se questo è il nuovo trend, è certo che chi vuole acquistare Barolo o Brunello da conservare in cantina farebbe bene ad orientarsi verso le annate precedenti al 2010. A trovarle…Oppure acquistare la bottiglia dell’ultima annata con la consapevolezza che stappandola l’indomani troverebbe un vino già pronto. Ad ognuno la sua scelta!
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