Ingredienti e apporto nutrizionale del vino in etichetta? Io dico che è inutile.

È un provvedimento di cui si sta occupando la Commissone Europea nel quadro di un più ampio progetto di revisione delle leggi sull’etichettatura del vino: obbligare ad inserire nell’etichetta di ogni bottiglia gli apporti nutrizionali e gli ingredienti utilizzati, al pari di un qualunque prodotto alimentare. Quindi non solo titolo alcolometrico e presenza di solfiti, già obbligatori.
Non è un caso che chi spinge in questa direzione siano i Paesi del Nord Europa, Gran Bretagna in testa, che non hanno famigliarità né con la vitivinicoltura né con una fruizione accorta e consapevole del vino e degli alcolici in generale. Perché al fondo di essa mi sembra ci siano delle ingenuità di prospettiva. E lo dice una che si orienta con preferenza verso i vini meno “industriali”.

Il vino non è un alimento equiparabili ad altri, non è una bevanda di cui nutrirsi, ma una bevanda da cui trarre piacere gustativo. Bere troppo vino fa male per via dell’alcool, prima che per qualunque altra sostanza in esso contenuta.
La legge consente l’utilizzo di additivi, coadiuvanti, conservanti (in primis la SO2) così come consentito per altre bevande ed alimenti e l’indicazione in etichetta servirebbe a rendere edotto il consumatore che in tal modo sceglierebbe il vino anche in base a tale discrimine (forse): insomma, niente Sassicaia perché contiene troppi additivi, meglio un Cabernet fatto in casa! Mah…

Valori nutrizionali del vino e apporto calorico: alzi la mano chi pensa che il vino non sia bevanda calorica! Tra alcool e zuccheri residui nessun dietologo raccomanda il vino in una dieta. Quanto agli apporti nutrizionali, mi ripeto: ha senso riportarli in etichetta per una bevanda da consumo edonistico non equiparabile ad un biscotto per la prima colazione o alla merendina per i bambini, o al succo di frutta, o ad altro alimento di consumo quotidiano ?

Se mai è sulla dipendenza che si dovrebbe fare prevenzione e non è certo l’elenco degli ingredienti non-naturali a poterla scongiurare. Sappiamo tutti che la Coca-Cola funziona bene anche come stura lavandini, ma ciò non ne ha mai ridotto l’uso e abuso!
Credo piuttosto ad un’azione di sensibilizzazione e soprattutto ad un’educazione al bere in modo consapevole e accorto. Ma qui si aprirebbe un altro fronte di riflessione che mi porterebbe fuori tema…

Altro discorso riguarda le sostanze allergeniche contenute nel vino come in altri alimenti: riportarle in etichetta sarebbe informazione utile per chi soffre di allergie o intolleranze alimentari. Credo che chi ha questo genere di problemi abbia già sperimentato gli effetti del bere un bicchiere di vino e anche in questo caso è il comportamento misurato a fare la differenza e a mettere al riparo da effetti indesiderati.

Attorno a nessun altro prodotto come il vino c’è, oggi, tanta attenzione per la “naturalità” del suo processo produttivo. La maggioranza delle aziende si sta sintonizzando su questa lunghezza d’onda (qualcuna da tempi non sospetti, altre un po’ più opportunisticamente, solo da poco, ma ben venga). Diverse associazioni di vignaioli, nate negli ultimi anni, si sono date delle regole all’insegna della salubrità e genuinità del vino. Nessuna, inevitabilmente,  può rinunciare in toto all’utilizzo di additivi, coadiuvanti o conservanti consentiti dalla legge: il mercato non lo consente.

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Ma qualcuno ne fa un uso più contenuto. Il consumatore attento alla naturalità, oltre che alla bontà del vino, ha molte possibilità di scelta. Ovviamente si deve fidare di quanto dichiarato a monte nello statuto dell’associazone di appartenenza, ma solitamente il controllo degli organi associativi è rigido e chi contravviene alle regole è escluso dall’associazione stessa. Alcuni di questi vignaioli hanno già provveduto a raccontare in etichetta com’è fatto il loro vino e cosa contiene: bisogna solo fidarsi.

Ultime considerazioni sulla inutilità di un’etichetta nel vino: i bevitori esperti e accorti sanno distinguere un vino “artefatto” e costruito da un vino che esprime in modo più schietto e naturale un territorio e/o un vitigno e un’annata. Tra le tante strategie basta verificare se c’è identità tra un’annata e l’altra di uno stesso vino per “sgamare” il trucco. Ma altri caratteri ci possono allertare sull’eventuale manipolazione di un vino: l’utilizzo eccessivo del legno per mascherare carenza gustativa, un’accattivante luminosità visiva a cui segue un gusto anonimo, un elevato apporto odoroso a cui non corrisponde un’altrettanta complessità al palato, la non corrispondenza tra i caratteri organolettici di un vino con quelli degli altri vini del territorio di appartenenza, il classico cerchio alla testa del giorno dopo ecc…
Insomma: un vino manomesso da troppi interventi in cantina difficilmente si accompagna a qualità e tipicità. (Attenzione: questa asserzione nuoce seriamente all’approccio “parkeriano” al vino!!)
Si dirà che il bevitore non esperto non possiede tali strategie. Ma il bevitore non esperto che beve quel che gli capita, secondo voi presterebbe attenzione alle sostanze contenute nel vino? Dubito.

Infine: a cosa serve sapere che un vino contiene pochi coadiuvanti, additivi e conservanti se l’uva che, non dimentichiamolo, è l’ingrediente principale, è stata trattata in vigna con pesticidi, fertilizzanti, diserbanti chimici, ecc.? Questi non finirebbero in etichetta, ma solo nostro stomaco! 

 

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